Il Cavallo Napolitano

    

 

La razza di cavalli Napolitana Santarcangiolese

A Sant’Arcangelo in Basilicata, fiorì per circa quattro secoli un immobile denominato "La Cavallerizza" contemporaneamente al fiorire ed all'affermarsi di una delle razze cavalline storiche d'Europa, quella dei cavalli “napolitani” che fu tra le più importanti ed ambite del Vecchio Continente.

Questi cavalli furono chiamati in Europa “napolitanì” perché originari del Regno di Napoli, e vennero allevati nelle varie province di Terra di Lavoro, che comprendeva le odierne regioni della Campania settentrionale e parte del Lazio meridionale, il Principato Citra comprendente la Campania meridionale, il Principato Ultra che si estendeva nella Campania interna sino ai confini con l'Abruzzo, quindi l'Abruzzo Citra e ultra con il Molise e, soprattutto, la Capitanata, la Terra di Bari, la Basilicata con la Calabria Citra ed Ultra nonché l'isola di Sicilia. La razza Napolitana al pari di quella spagnola e di quella portoghese, prima dell'avvento della razza araba, per la sua bellezza fatta di eleganza, robustezza, docilità e maneggevolezza fu tra le più utilizzate in tutta l'Europa. Per oltre quattrocento anni ossia dal XV al XVIII secolo questa razza rappresentò un esempio di perfezionamento nella selezione, ed il suo sangue venne utilizzato, alla stessa stregua di quello che avvenne dal settecento in poi per i purosangue arabo-orientali e dei successivi derivati anglo-arabi, per fini migliorativi mediante incroci con altre razze con l’obiettivo di abbellirne l’aspetto e potenziarne la struttura.

I Conti della Marra ebbero il merito di essere tra i primi di tutte le famiglie della nobiltà del Regno a selezionare nella Cavallerizza di Sant'Arcangelo, una razza che fu invidiata in tutto il regno ed oltre. Come avvenne in seguito anche per altre cospicue famiglie della nobiltà del Regno, tra cui gli Acquaviva conti di Conversano, i Caracciolo duchi di Martina, i principi di Torella, i Sanseverino ed i Baracco, gli allevamenti più importanti dettero i nomi a quelle che vennero chiamate “razze” ma che in realtà erano tipologie con lievi sfumature ma di una medesima razza di cavalli.

Ad esempio i Sanseverino a Saponaria, l’attuale Grumento Nova, ebbero una scuderia di cavalli che poteva ospitare 60 cavalli da maneggio o 122 come dice Bonifacio Petrone, illuminata da un lampiero d’argento, e lungo le pareti erano allineate delle nicchie con figure di angeli reggenti specchi di Venezia , affinché i cavalli potendosi riflettere non si sentissero soli.

Così come riferisce l’Aldimari , parlando del Principe Antonio Carafa di Stigliano il quale “facendo professione di tenere gran quantità di cavalli onde non solo la sua stalla ma la sua razza fu giudicata la maggiore di tutte nel regno” .

Allevare cavalli selezionati era un'attività d'importanza primaria sia per il significato economico sia per quello culturale, giacché il prestigio di una nazione risultava anche dalla bontà delle sue produzioni zootecniche e principalmente di quelle equine. Si noti come il Regno di Napoli era amministrato da sette uffici, il settimo era occupato dal “Gran Siniscalco”, il quale divideva la sua giurisdizione con il Maestro Cavallerizzo ed il Maestro di Caccia, egli aveva diversi compiti, ma il più importante era quello di curare e selezionare le razze dei cavalli. A questa passione che, oltre ad avere caratteri di utilità e di praticità, era ovviamente simbolo di potere e di prestigio  vi si dedicò anche la famiglia reale borbonica con il suo ingresso in Napoli con Carlo III di Borbone. Infatti, come abbiamo visto, gli allevamenti reali che furono istituiti all’inizio del Settecento dal Re Carlo III di Borbone, dettero inizio alle “razze” di Carditello, Persano, Tressanti e Ficuzza i quali furono ripopolati dai migliori esemplari provenienti da tutti gli allevamenti del Regno, tra cui probabilmente anche dalla Cavallerizza di Sant'Arcangelo.

Possiamo, quindi, descrivere i canoni estetici della razza Santarcangiolese, con un criterio storico zootecnico ispirandoci alla descrizione della razza napoletana, in trattati d’epoca.

Il primo del 1573 descrive: “I Cavalli del Regno di Napoli principalmente in Italia sono stimati molto, dove nascono Corsieri bellissimi, e bellissimi Ginetti (cioè cavalli di razza) e infiniti cavalli da due selle, e tutti assai belli, e boni per l'uso della guerra, e dei maneggi, e d'ogni altro servitio, che à cavaliero convenga (...) di bona e statura, di bone forze, animosi, di buon intelletto, e attivissimi alla guerra, e sopra tutto sono eccellentissimi per huomini d'arme e resistono molto alle fatiche, e agli incomodi, e disagi. A quali si richiede piu tempo a fargli, che non si richieda agli altri in Italia. Et questi meglio si conoscono à i marchi, che ad altro segnale, quando però i marchi non siano falsificati, i quali, e le differenze delle razze del Regno di Napoli farebbe lung'ora, e difficile à descrivere hora, e l'uso continuo, e la cognitione che se ne ha può fare, che li presupponga questo per notorio. Et similmente distinguere le razze buone, dalle triste, e le piu eccellenti, dalle mediocri per la moltitudine infinita che ve n'è di molti Principi, Signori, e cavalieri sarebbe cosa troppo lunga , e difficile molto”. 

Il secondo del 1888 descrive ancora: “In altri tempi, quando in Italia l'ippocultura era fiorente, fra le varietà cavalline più rinomate figurava la napoletana. Il tipo di questa varietà presenta le seguenti principali caratteristiche: statura giusta e graziosa, ma, più spesso alta: con testa sollevata, si che, al pari del cavallo andaluso, fa magnifica figura di parata per l'incesso maestoso e movimenti fermi e risoluti: ha il garrese e il collo grossi, difetti che gli danno la qualità della fortezza; la testa è quadrata, carattere vivace e ardito,dolce e mansueto; è docile e destro al maneggio; di gran vigore e robustezza; atto a lunghe corse. (...)deriva dalla razza asiatica, alla quale però si trova mescolata anche la razza africana e la germanica per quanto i dominatori nordici ve la introdussero. (...)  In tempi recenti esisteva a Persano una mandria regia, la quale produceva ottimi stalloni ed ottimi cavalli da servizio. Quella mandria venne soppressa, ed in suo luogo venne istituito un Deposito di allevamento puledri per l'esercito. 

E attraverso un criterio storico-documentale:

1) osservando, l’affresco a mezzaluna raffigurante due cavalli di colore perlato sito nel refettorio dei frati nel monastero di S. Maria di Orsoleo;

2) considerando un ritratto equestre del Nob. U.J.D. D.Giovanni Scardaccione il quale, Governatore della Cavallerizza, ebbe in dono verso il 1688 dal Principe di Stigliano Giuliano Colonna uno stallone di nome “Saittone”;

3) leggendo la descrizione dei cavalli nei citati documenti della Sommaria del 1698;

4) leggendo l’inventario della scuderia del Dr. D. Andrea Scardaccione del 1799.

Da questi documenti, si possono cogliere alcune caratteristiche costanti della razza, quali il manto prevalentemente perlato, o baio, il collo e l’altezza imponente: quindi i cavalli della razza santarcangiolese, erano imponenti e longilinei, resistenti, di statura alta, con testa quadrata all’in su, con il garrese ed il collo grossi, con caratteristiche mesoformi sauri e manto perlato o baio scuro.

Ed erano addestrati prevalentemente per gli uomini d’arme ma ottimi anche per ogni altro servizio.

Ecco di nuovo i nomi di alcuni degli antichi cavalli Santarcangiolesi: Capitano, Donnanna, Pompisio, Bellagamma, Toleto, Sigiero, Allegrezza, Garrafa, Altabrandino, Guaglienella, Fraschetto, Lattuca, Saittone, nonché cento anni dopo Principessa, Duchessa, Livantina, Rosella, Biancona, Bisignana, Bandiera, Corrozzella, Evulpacchia, Rubbina.

Un importante allevamento di cavalli, nel Medioevo come nel Rinascimento, rassomigliava a qualcosa che oggi potremmo definire come una fabbrica di automobili.

L’allevamento e la selezione furono, infatti, assiduamente subordinati sia a criteri di estetica che di funzionalità, dettati dalle esigenze che man mano si maturarono nel corso dei secoli.

Inizialmente, le esigenze ed il gusto rinascimentali, portarono a selezionare cavalli poderosi, capaci di portare in sella guerrieri rivestiti di pesanti armature di ferro e addestrati a seguire semplici ma fondamentali ed essenziali mosse in battaglia. 

A riguardo, la lunga “Carriera”, il corridoio coperto lungo più di duecento metri, ancora perfettamente riconoscibile, era il luogo dove gli animali venivano abituati a correre uno di fronte all’altro, simulando i combattimenti, dove venivano addestrati al portamento e allenati alla corsa, anche durante le intemperie.

Successivamente il gusto barocco, con il diffondersi dell’uso delle armi da fuoco, portò alla selezione di soggetti equini sempre più leggeri ed agili, ma pur sempre potenti nell'azione e pronti ad eseguire a comando mosse utili a salvare la vita.

E così, dopo la scelta selettiva degli animali più idonei, si provvedeva al vero e proprio addestramento di questi superbi esemplari che imparavano ad effettuare a comando le varie impennate, sgroppate e piroette improvvise, per consentire ai cavalieri di sbrogliarsi utilmente durante le battaglie e le scaramucce nelle mischie con i nemici. Le “arie”, proprie delle più famose accademie di arte equestre portoghese, spagnola e francese, ancora fiorenti nei rispettivi Stati, sono tutte tributarie della scuola equestre “napolitana” fondata dal maestro Federico Grisone intorno alla metà del XVI secolo. Queste presero spunto da quelle mosse di combattimento tipiche degli antichi movimenti equestri di battaglia da cui furono tratte le figure.

Le grandi fiere di Salerno, Foggia e Gravina ma anche quelle locali a Tursi di S. Maria di Anglona, di Sant’Arcangelo a S. Maria d’Orsoleo e quella di S. Fortunato, ma anche a Senise, Stigliano e Viggiano che si tenevano una volta l’anno, servirono a lungo per lo scambio ed il diffondersi nel resto d'Italia e d'Europa della razza “napolitana”. Per essere contraddistinti i cavalli venivano marchiati a fuoco - tale consuetudine era antichissima già dal V sec. a.C. Anacreonte, nelle sue Odi riporta “... sulle coscie hanno i cavalli a fuoco il marchio impresso” (ode 55) - e tale pratica era effettuata da tutti i proprietari di scuderie grandi e piccole. Tali marchi erano formati da monogrammi, da simboli, da sole iniziali relative al casato, da veri e propri stemmi con o senza corona; essi si distinguevano a seconda del tipo di cavallo ossia per i corsieri, per i ginetti o i cavalli da dama ecc..

Il Gattini nel 1902 nell’interessante monografia sulle razze di cavalli allevate nel Regno di Napoli, pubblicò altresì i marchi usati nei vari principali allevamenti del Regno, compresi quelli usati dalle Famiglie della Marra, Carafa e Colonna.

L’antica razza “napolitana” si è estinta nelle razze Hannover, Persana, Murgese e Lipizzana, soprattutto quest’ultima ne ha ereditato il maggior numero di caratteristiche. 

E’ attualmente in fase di organizzazione, nelle aziende agricole Scardaccione, un progetto zootecnico, attraverso il quale, con incroci derivati dalle razze di Persano, Lipizzana e Murgese,  si tenta di selezionare esemplari equini aventi otre che il dna, anche le caratteristiche morfologiche della antica razza di cavalli della Cavallerizza di Sant’Arcangelo.

         

 

adsi-basilicata.it